IL VINO BARBERA

Ricercare le origini storiche della Barbera non è facile, come nel caso di altri vitigni, perché le diverse epoche hanno visto la trasformazione dei nomi delle varietà e in alcuni casi le traduzioni dei testi latini hanno influito sulle ricostruzioni storiche. Di certo sappiamo che nel 1512 questa varietà è citata in un documento della Curia di Chieri (TO) e, ad inizio Seicento, quasi 100 anni dopo, nel contado di Nizza Monferrato vengono inviati assaggiatori per valutare la qualità del vino “di questi vigneti, e in particolare lo vino Barbera per servizio di S.A. Serenissima il Duca di Mantova e di pagargli al giusto prezzo”. In realtà molti studiosi oramai concordano che sia stato Pier de’ Crescenzi, giudice bolognese ad Asti nel 1233, a citare per primo, nel suo Liber Ruralium Commodorum quell’uva, detta la grisa, che aveva notato anche a Bologna. Il Liber Ruralium, che viene considerato uno dei primi trattati di Agronomia, venne tradotto in numerose lingue ed ebbe grande successo e si oggi concordi nel pensare che la grixa sia stata confusa con il Nebbiolo durante la traduzione. Sempre nel 1606 Giovanni Battista Croce, gioielliere di casa Savoia, elenca nel trattato Della eccellenza e diversità dei vini che sulla montagna di Torino si fanno, le uve presenti a quel tempo sul territorio ed è la prima traccia di distinzione tra il nebiol e la grisa. Sarà però con Giorgio Gallesio, studioso delle varietà vegetali e autore della Pomona italiana dal 1817 al 1836, che verrà codificata e raffigurata la Barbera.

 

prima immagine della Barbera fatta nel 1800 dal Gallesio
(la prima raffigurazione certa de la barbera)